di DANILO SANGUINETI
Gioco e sport, genere e specie se vogliamo. Comunque categorie affini che dovrebbero essere sempre comunicare, nella teoria. È nella pratica che le cose si complicano come ben sanno retori, filosofi e…allenatori.
Il perché lo si è cercato di capire nel convegno tenutosi a Chiavari martedì scorso, 26 novembre nel teatrino del Liceo scientifico-sportivo Gianelli Campus (da quest’anno ospitato all’interno dell’Istituto Gianelli a Chiavari). Per dibattere gente che ne sa e che soprattutto ha vissuto e vive sulla propria pelle come lo sport, professionistico e anche no, fatichi a ricordarsi di essere, in nuce, un gioco.
Preparato dalla Conferenza Episcopale Ligure in collaborazione con l’Ufficio dello Sport della Diocesi di Chiavari, la Federazione Italiana Pallavolo e il CSI Comitato di Chiavari aveva come titolo ‘Mettersi in gioco con lo sport’, vedendo nell’attività fisica praticata con regole e metodo un veicolo di aggregazione, partecipazione e formazione, sia umana che professionale. Perché per gli organizzatori lo sport può dare una marcia in più nella vita: aggrega nel gioco, fa partecipare e include.
Il parterre dei relatori era tale da attirare, come è stato, un pubblico numeroso, formato in massima parte da allenatori e dirigenti di società del circondario, ma con una buona presenza di giovani allievi dello stesso liceo Gianelli. Erano annunciati Davide Mazzanti, c.t. della Nazionale Femminile di Pallavolo, Antonio Suetta, Vescovo di Ventimiglia-Savona, delegato per lo sport CEI, Daniela Loero, coordinatrice didattica del Liceo Gianelli Campus, Andrea Paroni, portiere della Virtus Entella, Domenico Criscito, capitano del Genoa.
Il moderatore della serata Cristiano Simonetti, presidente CSI Chiavari e CSI Regionale, ha dovuto fare i conti con i forfait di Mazzanti, bloccato sulla via verso il Tigullio da un guasto meccanico, rimpiazzato da Furio Dioguardi, tecnico nazionale Fipav, responsabile del settore del Sitting Volley, e di Criscito, sostituito da Michele Sbravati, responsabile della Scuola Calcio del Genoa. Simonetti ha lanciato delle parole d’ordine (“sacrificio, passione, educazione, regole, inclusione, etica”) alle quali i relatori del convegno hanno risposto con la loro visione e la loro esperienza nel mondo dello sport. Una breve introduzione da parte di Anna Dal Vigo, presidente regionale Fipav (“Io sono curiosa di sapere che cosa ci diranno, resto convinta dell’alto valore sociale dello sport soprattutto perché insegna il rispetto delle regole, ed abbiamo bisogno di positività in questo delicato momento”) e poi sono partiti gli interventi.
Andrea Paroni ha confermato che dietro i guantoni da portiere ci sono anche un bel cervello e un cuore forte: “Lo sport che pratico è soprattutto risultato, è quello che completa anche se non mi scordo che è il gioco che aggrega. Impegno, costanza e sacrificio? Io vengo dal Friuli, da un paesino di appena duemila anime, venti anni fa studiavo e mi allenavo. Ho ottenuto il diploma, ragioneria, ringrazio la mia famiglia che mi ha sempre detto che prima di tutto veniva la scuola, l’istruzione. Mi dissero che se avevo la passione, la voglia di provarci, dovevo coltivarle, ma solo al patto che avrei completato la mia formazione”.
Gli effetti li ha apprezzati con il tempo. “Nel corso degli anni ho avuto molti compagni che pensando che sarebbero stati quell’uno su mille che ce la fa hanno mollato tutto il resto, non hanno acquistato una visione più ampia dei problemi. Io ha avuto momento buoni e meno buoni, ma se hai una cultura ti tiri fuori e vai avanti. Se sono arrivato sin qui, se ho raggiunto e sono rimasto nel calcio professionistico lo devo proprio al ‘background’ fornitomi dai consigli del mio ambiente. Il bagaglio culturale serve eccome per affrontare lo sport ad alto livello”.
Si riesce a conciliare gioco e lavoro? “Se lo chiamiamo lavoro, è una sorta di part time, 3-4 ore al giorno. Cerco di sfruttare il tempo libero dedicandolo agli altri, a non rinchiudermi. Sai che tante persone vorrebbero essere al tuo posto e provi a restituire qualcosa. Poi qui è più facile, nell’Entella, con una società che a questi aspetti extracampo dà somma importanza”.
Sua Eccellenza Antonio Suetta traccia le linee che uniscono missione sportiva e missione evangelica. “La Chiesa nel passato ha cercato di svolgere un ruolo nella missione ‘Sport per tutti’. Era tradizione che a ogni chiesa fosse allegato un campetto, una struttura non solo materiale, un ente di aggregazione. Il mondo sportivo non deve essere un mondo a parte, l’attività pastorale della Chiesa, soprattutto per i più giovani, deve essere efficace e autorevole. Insegniamo loro a scalare e scavare, ossia cogliere gli slanci, acquisire la capacità di mettersi i gioco e allo stesso tempo mitigarli e indirizzarli. Imparare a accogliere e ascoltare le fragilità del tempo che viviamo”.
Disponibile ad accogliere i suggerimenti delle altre voci. “La molteplicità delle esperienze ascoltate in questa tavola rotonda mi ha molto interessato e colpito. C’è responsabilità verso gli altri, non solo verso se stessi, verso la propria società, i compagni, la famiglia, la società intesa come comunità più ampia. L’aspetto più significativo che affiora da queste esperienze è la umanità di queste persone. Questa è la connotazione cristiana più autentica. La gentilezza vince sull’ignoranza, ricordiamolo”.
Furio Dioguardi aveva appena tenuto un corso di aggiornamento per i tecnici del Levante, dedicato al Sitting Volley: “È la pallavolo che si gioca da seduti. È arrivata qui in Italia nel 2013. Mettersi in gioco è fondamentale in questo sport che va molto forte nei paesi anglosassoni e che parteciperà ai prossimi giochi a cinque cerchi. Unisce persone con disabilità fisiche gravi: amputati, chi ha subito lesioni spinali, paraplegici, chi soffre di disabilità motorie. Chi era amputato e magari da “integro” giocava, torna ad apprezzare lo sport. Poi ci sono persone c’è smettono di giocare a pallavolo e si uniscono al Sitting Volley. Le squadre sono formate da almeno due disabili, il resto sono normodotati. Ho imparato molto seguendo questa disciplina. Oliviero Toscani ha fotografato 12 campioni paralimpici nella loro nudità per combattere lo stereotipo del fisico perfetto. Ci sono campioni di testa e di fisico spettacolare, non trovo altro termine, anche tra i paralimpici”.
Venendo allo specifico tema della serata: “Non bisogna mettere pressione ai bambini. Quando ero giovane, a Genova tutti si giocava in strada tranquillamente, oggi non si può più e le società hanno l’incarico di supplire allo spontaneismo. Non si doveva dimenticare l’importanza delle attività non strutturate. Adesso c’è l’esigenza di offrire un servizio, le società offrono gioco organizzato, lo sport, che mette in relazione con gli altri, insegna a rispettare le regole e auspicherei anche a perdere, contrastando quella visione efficientista oggi prevalente”.
La professoressa Daniela Loero è la coordinatrice del liceo sportivo Giannelli, la padrona di casa. “Lo dirigo da tre mesi, ma alle spalle ho 40 anni di esperienze nelle scuole e so quanto conti l’educazione scolastica nel far crescere i nostri ragazzi. Ho visto e accompagnato l’evoluzione dello sport nella scuola. Migliora il fair play ma serve anche ad incrementare le competenze cognitive. Il Ministero dell’Educazione ha sentito la necessità di dare una connotazione liceale a questo tipo di istituto secondario superiore, gli ha conferito una qualità più nobile, ne ha riconosciuto le finalità culturali. Ricordate la vecchia Educazione Fisica? Era vissuta come un momento esclusivamente ludico ed era marginale nella valutazione dello studente, almeno sino a venti anni fa, nella maggior parte degli scuole italiane!”.
Di acqua ne è passata sotto i ponti e il Ministero ha riconosciuto il cambiamento di rotta. “In epoca di emergenza educativa, lo sport può essere l’arma vincente, può dare una linea di condotta efficace ai nostri giovani”. L’indirizzo scientifico sportivo si muove su due binari. “Offre un curriculum di materie altamente specialistico, resta un liceo scientifico, e poi c’è un ventaglio di discipline che consentono di approcciare allo sport in tutte le sue sfaccettature. Qui garantiamo gli insegnamenti previsti dal Ministero ed aggiungiamo materie educative, con particolare riguardo alla ispirazione cristiana”.
C’è un ultimo aspetto sottolineato dalla professoressa Loero: “Con un decreto dello scorso anno, sono state riconosciute particolari agevolazioni nel percorso di studi agli atleti di alto livello. Un’ottima mossa, ma bisogna bene definire il campo degli aventi diritto. E poi c’è da ‘sgravare’ dall’ansia della prestazione sia dal punto di vista agonistico che valutativo scolastico. Tenere sempre al centro l’adolescente, non lo si faccia sentire un perdente”.
Michele Sbravati è stato professionista da calciatore, è top allenatore da mister del Genoa. “In realtà conosco abbastanza bene anche le dinamiche del volley, perché ho due figli che lo praticano. Apprezzo molto questa disciplina. E faccio i confronti con il calcio, che è il mio lavoro attuale. Io mi occupo di atleti che vanno dai 6 ai 19 anni di età e ho a che fare con tematiche quasi diametralmente opposte a quelle degli altri sport di squadra. Diciamo che noi facciamo difesa preventiva, come quando i portieri richiamano i giocatori per anticipare gli assalti degli avversari. Con la violenza e la maleducazione proviamo a fare difesa preventiva. La Figc è sensibile a queste tematiche, promuove un’opera abbastanza capillare per mostrare la via giusta ad atleti, tecnici, dirigenti”.
Va nello specifico. “Il Genoa punta deciso sui giovani, abbiamo negli anni scorsi lanciato in serie A due sedicenni, Pellegri e Salcedo. E prima di farlo ci siamo interrogati a lungo se fossero pronti dal punti di vista fisico e soprattutto mentale. Non tutti lo fanno perché ora è tutto più veloce, anticipato, ‘pericoloso’. Il successo può far perdere testa ai ragazzi, ai loro genitori e pure all’entourage. Negli anni Ottanta gli allenatori potevano rifilarti anche qualche calcio nel sedere, oggi rischi di avere il giorno dopo l’avvocato in sede”.
Bisogna ricordarsi che dentro la maglia da grande c’è un adolescente: “Ci preoccupiamo troppo poco della reazione del ragazzo al successo, se riesce a reggere impatto., Non dovremmo perdere di vista l’aspetto educativo, evitare di farsi ingolosire dalle considerazione materiali. Paroni, che conosco sin dai tempi della serie D, è un esempio positivo in tal senso… Coniuga due vocaboli che ritengo essenziali: passione e responsabilità”.
Il tecnico del Grifone si riserva un attimo di ironia sulfurea. “A volte penso che dovremmo essere un po’ meno seriosi e più autodenigratori. È vero che ci sono tante pecche nel nostro sport, ma è anche vero che all’estero non sono poi così perfetti come ci piace credere. Sono stato per lavoro un po’ in giro in Europa e vi assicuro che anche nei compassati paesi nordici ci tengono a vincere e se non fanno il risultato sono guai, anche nei loro gelidi lidi. Più che per nazioni ragionerei per persone. Un mio maestro mi diceva che una squadra ha il carattere del suo allenatore. Se questo è educato e serio, il suo team si adeguerà. Stesso discorso per il sorriso. Come vuoi che i ragazzi si ricordino che è un gioco se tu lo vivi come una tragedia?”.
Prendersi gioco nello e dello sport è diventata un’impresa titanica.